San Pancrazio
Orari SS. Messe |
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3 aprile: martirio di San Pancrazio: ore 17.00 S.Rosario – ore 18.00 S.MessaI nove martedì (di San Pancrazio ) precedenti il 09 luglio: ore 16.30 s.Messa (può variare di anno in anno) dal 30 al 09 luglio: ore 17.00 S.Rosario – ore 17.30 coroncina – ore 18.00 S.Messa
09 luglio festa di San Pancrazio: ore 09.00 / 11.00 ss. messe |
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CELEBRAZIONI DI MATRIMONIOPrendere accordi direttamente con il Parroco |
LA STORIA
La Chiesa di San Pancrazio sorge sulle rovine del tempio greco di Giove Serapide. Tratti di muri della cella del tempio sono stati incorporati nella chiesa, si vedono ancora ben 12 file di blocchi di pietra di Taormina e sovrapposti senza l’ausilio di calce, mentre nel muro nord si vedono blocchi superstiti della cella del tempio. Oggi, questi superstiti blocchi di calcare taorminese, fanno parte integrante dei muri nord e sud della Chiesa. Il tempio di Giove Serapide, il cui frontone era rivolto ad oriente, si pensa che fosse un tempio esastilo, cioè con sei colonne sorreggenti il frontone, le quali formavano un portico antistante la cella del tempio, in cui era custodito il simulacro della divinità; questo tipo di tempio è chiamato “in antis” dagli archeologi, che vuol dire con una parte coperta davanti.
Nel cortile della chiesa è ancora oggi visibile uno spezzone di colonna di granito grigio, che venne alla luce durante i lavori di sistemazione e pavimentazione del cortile stesso.
Che questo fosse il tempio di Giove Serapide è provato da diversi reperti archeologici trovati nell’area del santuario.
Uno è il marmo con epigrafe che fu scoperto nel 1861 dal custode delle Antichità Francesco Strazzeri, padre del frate Agostiniano Rev. Emilio Strazzeri.
Questa epigrafe reca incisa in sei esametri la seguente dedica in greco:
“O forestiero, qui presso questo portico di Serapide dedicò un sacro altare ad Estia (Vesta) il Barceo (di Barca in Libia) Carneade, figlio di Eucrito, neocòro (ministro del tempio), sua moglie Pizia e la figlia Eraso, affinché, o tu che reggi le superbe dimore di Giove (cioè Estia), essi abbiano sempre giocondo benessere di vita”.
Un’altra iscrizione latina su marmo, scoperta nel 1867, reca la seguente dedica: “Serapi Isi sacrum, C. Ennius Secundus votum A(nimo) P(io)”, cioè, Caio Ennio Secondo fece un sacro voto a Serapide e Iside, con animo pio. Altro reperto è la bella statua di Sacerdotessa di Iside col moggio, scoperta pure nel 1867 e che è andata a finire nel Museo Nazionale di Palermo e che bisognerebbe far ritornare qui. Altro reperto decisivo fu un anello d’oro trovato nel 1742, del peso di un’oncia e mezza, recante un iscrizione in greco che tradotta in latino significa: “Ietro Ilios Sacerdos Solis, che dovrebbe significare “Ietro Ilio Sacerdote del Sole”, per cui è chiaro che era l’anello del Sacerdote del tempio i Giove Serapide, il quale soprintendeva ai riti religiosi che vi si celebravano. Questo anello d’oro andò a finire nella collezione privata di Biagio Spuches, duca di S. Stefano, custodita nel suo palazzo Paladini-Platamone, poi divenuto l’Hotel Metropol e nessuno l’ha più visto.
In cambio del possesso di questo importante anello d’oro del tempio di Giove Serapide, egli fece un lascito alla chiesa di S. Pancrazio di 40 onze annuali. L’architettura della chiesa di S. Pancrazio è di stile barocco ed essa risale alla seconda metà del 1600, quando la preesistente più piccola fabbrica fu ristrutturata e la chiesa ingrandita, sia in altezza che in lunghezza.
Infatti, sulla facciata sud che incorpora il muro della cella del tempio greco, sono ancora visibili le primitive finestre che sono state murate, lasciando in loco davanzali, stipiti e architravi.
La facciata principale della chiesa è rivolta ad est e mostra un monumentale portale, a cui si accede attraverso una breve gradinata composta di quattro ordini di gradini in pietra di Taormina.
Il portale ha stipiti ed architrave in pietra di Taormina ed è ornato da due colonne dì stile jonico per ogni lato, le quali poggiano su alte basi ed i cui capitelli sostengono un pesante architrave, fatto di sporgenze e rientranze.
Fra le due colonne di destra c’è la statua S. Procopio, rappresentato con l’abito talare e con la mitria in testa, e con il suo cuore nella mano destra alzata, a significare il tipo di martirio che egli subì.
Infatti, S. Procopio era il Vescovo di Taormina al tempo della conquista araba di Taormina, che cadde sotto i Saraceni il
1 agosto 902, ed il santo Prèsule fu martirizzato mediante l’estirpazione del cuore.
Fra le due colonne di sinistra c’è la statua di un altro Santo Vescovo, presumibilmente S. Massimo, che fu il successore di S. Pancrazio, mentre io penso per logica, che sia la statua di S. Pancrazio, essendo la chiesa a lui intitolata; pure S. Pancrazio è rappresentato con l’abito talare e le insegne della sua dignità vescovile cioè i e bastone pastorale nella mano sinistra, mentre la destra è atteggiata ad un gesto di protezione.
Questo portale barocco è fatto in ogni sua parte con i rinomati marmi di Taormina, policromi e screziati.
Nei due lati della facciata ci sono due finte colonne poggianti su alte basi, i cui capitelli sostengono un architrave a più rifasci, sopra il quale la facciata termina imitando il frontone del tempio greco, con al centro una decorazione ovale in forma di corona o ghirlanda.
Al colmo della facciata c’è una croce in ferro battuto decorata con raggi all’incrocio dei due bracci.
La chiesa è preceduta da un ampio cortile o mattonellato con mattoni d’argilla rossa, e recintato da dieci arcate a tutto sesto in muratura, e alla base di ogni arcata, fra pilastro e pilastro, ci sono dei grandi blocchi di pietra di Taormina, che fungono da rustici sedili e che certamente facevano parte dell’antico tempio, come è pure pensabile che anche il tempio greco fosse preceduto da questa spianata antistante, che serviva come luogo di raccolta dei pellegrini, in attesa di entrare nel tempio per assistere alle sacre cerimonie.
Questa destinazione del cortile è durata fino ai nostri giorni; infatti, al centro della spianata c’è una
botola in pietra di Taormina, in cui veniva fissato un palo di legno che sosteneva una grande tenda che serviva da ricovero per i fedeli di S. Pancrazio che venivano in pellegrinaggio dalla Calabria fino al 1 940, dopo di che questa tradizione scomparve, in seguito agli eventi bellici della seconda Guerra Mondiale.
La facciata sud, che ha incorporato e conservato fino a noi il muro della cella del tempio di Giove Serapide mostra tre comuni finestre che furono aperte nella facciata sopraelevata alla fine del sec. XVII.
A sinistra della facciata principale si apre l’ingresso alla Sagrestia preceduta da un piccolo cortile adiacente alla facciata nord in cui sono visibili altri blocchi squadrati di calcare taorminese dell’alto muro della cella dell’antico tempio. Sopra la sagrestia e in posizione arretrata rispetto alla facciata principale della chiesa s’innalza il campanile, il cui pianterreno costituisce la Sagrestia; la sua parte mediana è costruita con blocchi squadrati di pietra di Taormina, con un oblò aperto in ognuna delle quattro facciate.
La parte superiore del campanile è decorata da quattro archi a tutto sesto, uno per ogni lato con stipiti, archi e chiavi d’arco in pietra di Taormina, che costituiscono le aperture a cielo aperto della camera campanaria, in cui sono allogiate le campane.
Infine, sopra un ricco architrave quadrato, s’innalza una cupola decorata anch’essa da quattro piccole aperture ad arco, una per lato, e sopra di essa, che è esagona1e, c’é una cupoletta, pure esagonale e con quattro piccole aperture ad arco, sormontata da una sfera di pietra, in cui è infissa una piccola bandiera in ferro battuto girevole,. con funzione decorativa e di segnavento, cioè che gira su se stessa, in senso orario o antiorario, a secondo del vento.
Ai quattro angoli della base della cupola c’é un motivo a doppia voluta, come una essa coricata, che è ripetuto in cima ai pilastri del cancello in ferro battuto che immette nel cortile antistante la chiesa.
Anche nella torre campanaria siamo in pieno stile barocco, pur con la sobrietà delle reminiscenze dell’arte classica.
Entrando in chiesa, sopra il portale c’è il soppalco con l’organo, dove prendeva posto il coro durante i solenni pontificali con messa cantata, ed esso è recintato da una ringhiera in ferro battuto.
Sul primo altare minore a destra entrando, c’è il quadro con tela ad olio che rappresenta il martirio del Vescovo S. Nicone e dei suoi 99 monaci, uccisi nella contrada Scimandra, presso Castelmola, durante le persecuzioni contro i Cristiani.
S. Nicone era un sacerdote napoletano, che coi suoi 99 monaci era venuto a stabilirsi presso il fiume Akesines (Alcantara) ed ora poi diventato Vescovo di Taormina.
Sul secondo altare minore a destra entrando, c’è il quadro con tela ad olio che rappresenta S. Pietro che consacra Vescovo S. Massimo, successore di S. Pancrazio nella Diocesi di Taormina.
Sul primo altare minore a sinistra entrando, c’è il quadro con tela ad olio, che rappresenta il martirio di S. Procopio, la cui statua è posta all’esterno, a destra del portale, il quale era il Vescovo dì Taormina al momento della conquista della città da parte dei Saraceni, il cui capo lbrahim-ibn-Ahmed lo fece suppliziare mediante l’estirpazione del cuore, perché non aveva voluto abiurare la sua fede cristiana e convertirsi all’islamismo; assieme a lui furono suppliziati mediante decapitazione i suoi chierici.
Sul secondo altare minore a sinistra entrando, c’è un grande Crocifisso di cartapesta o cartone romano. Fra il primo ed il secondo altare minore a destra entrando, c’è un affresco raffigurante il Vescovo Teofane Cerameo mentre pronunzia una sua omelia, di cui sono riprodotti alcuni passi; Teofane Cerameo fu l’ultimo Vescovo di Taormina nel sec. XI, quando la sede vescovile fu abolita dai Normanni.
In cima alla grande arcata a tutto sesto che precede ed incornicia l’altare maggiore c’è la seguente iscrizione: “Ego primus et absque me non est Deus” cioè “Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non v’è Dio” (Isaia, 44, 6).
Una bassa ringhiera in ferro battuto immette all’altare maggiore, ricco di marmi policromi di Taormina, con ai lati due colonne di stile jonico, uguali alle quattro che adornano il portale esterno. In cima all’altare ci sono Otto angeli, quattro per lato, e al centro c’è il busto di Dio benedicente con la destra e che s’erge tra le nuvole, sotto la figura di Dio c’è la Madonna col Bambino.
A destra dell’altare maggiore c’è l’affresco che rappresenta il martirio di S. Pancrazio per mano del gentile (pagano) Arcagano, durante un convito a cui il Santo era stato invitato, essendo assente dalla città il Prefetto Bonifacio, che S. Pancrazio aveva convertito al Cristianesimo.
A sinistra dell’altare maggiore c’è l’affresco raffigurante lo sbarco di S. Pancrazio a Naxos, mentre i templi pagani crollano, nell’anno 40 d.C., sotto l’impero di Caligola (3741 d.C.), mentre il suo martirio avvenne nell’anno 100, sotto l’impero di Traiano (98-117 d.C.).
S. Pancrazio, discepolo di S. Pietro, fu “Primus Siciliensium Episcopus” cioè fu il primo Vescovo dei Siciliani, come dicono le agiografie greche.
A destra dell’altar maggiore c’è la sedia pontificale, in forma di poltrona dorata di velluto rosso, stile Luigi XIV;. dietro la sedia c’è lo stendardo della Congregazione di S. Pancrazio, decorato con filigrana d’argento e realizzato nel 1870, in cui è riprodotto lo stemma della Confraternita con la mitria ed il bastone pastorale, le insegne vescovili di S. Pancrazio.
Sopra e dietro l’altar maggiore c’è la grande nicchia in cui è alloggiata la statua di S. Pancrazio Antiocheno, seduto sulla sua “vara”, cioè il fercolo o portantina, con cui viene solennemente portato in processione durante i festeggiamenti in suo onore il 9 luglio.
La statua di S. Pancrazio è di cartapesta o cartone romano, ed è decorata con oro zeechino; il Santo, scuro in viso come i Siriaci o Siriani, è rappresentato seduto, con la destra benedicente e con la sinistra che tiene il bastone pastorale.
La sua “Vara” e rettangolare, con sei colonnine che sostengono sei archi, due per ogni lato lungo e uno per ogni lato corto. La Vara, fatta con legno di arbanello e cipresso nel 1 885 costò L. 765 senza l’oro zecchino e ne fu costruttore il falegname Nicolò Cozzo; infatti, sulla base frontale della “Vara” c’è scritta, scolpita nel legno, la seguente dedica: “Costruita di(sic!) Nicolò Cozzo – 1885”. Questa “Vara”fu fatta su imitazione di una precedente.
Sotto la sedia di S. Pancrazio, nella faccia interna di un poggiulo posteriore, c’è la seguente iscrizione a pittura: “Vetusta signabat ann. 1519, haec de ano confecta signat ann. 1887”; cioè, “la vecchia Vara recava la data anno 1519, questa fatta quest’anno reca la data anno 1887”. Sulla base posteriore della “Vara” c’è incisa questa dedica: “Il popolo al suo Patrono – 1885” La grande nicchia in cui è custodita la statua del Patrono di Taormina e la sua “Vara”. era una volta tutta affrescata con motivi floreali che furono distrutti quando la chiesa fu ristrutturata; qualche frammento di affresco è ancora visibile sui bordi della nicchia.
Il pavimento della chiesa è ricco dei marmi policromi di Taormina che creano una bella scenografia se guardato dall’alto, come dal soppalco dell’organo a canne.
Subito dopo il portale entrando, c’è sul pavimento una grande lapide molto decorata con intarsi dei variopinti marmi di Taormina che formano ricchi motivi floreali, fra cui spicca per la sua lugubrità un teschio alato, come un pipistrello, di marmo rosa, e sulla lapide c’è la seguente iscrizione: Lustris Christi templum – antistes consecratocto – hic corpus linquens spirtus – astra petit – secula post plura urnam hanc – construxere sodales – ut cineres tumulent – dent animasq 3 – Deo – Patre D.re D. Mario Campagna – anno MDCLXXXXVII”, cioè, “il sommo sacerdote di Cristo ha consacrato il tempio con sacrifici purificatori – lo spirito abbandonato questo corpo sale in cielo – dopo molti secoli i Confrati (della Confraternita di S. Pancrazio) costruirono questa tomba per seppellirvi le ceneri (i cadaveri dei Confrati) – e dedicarono le anime a Dio – essendo Padre Direttore don Mario Campagna nell’anno 1697”.
Sul pavimento, poco prima della balaustrata in ferro battuto che immette all’altare maggiore, c’è una lapide molto decorata con intarsi di marmi policromi, avente al centro uno stemma con due stelle divise da una banda dentellata e con un fiordaliso in basso, e con quattro teschi agli angoli, su cui c’è la seguente iscrizione: “Pregate per me povero peccatore mori l’anno 1696 a XIX Luglio”. Si tratta chiaramente della tomba di un nobile, che potrebbe essere identificato dallo stemma del suo Casato riprodotto sulla lapide tombale.
Sulla lapide della tomba comune della Confraternita di S. Pancrazio c’è anche lo stemma di questa Congregazione, rappresentante una mitria e un bastone pastorale, cioè le insegne della dignità vescovile, essendo stato S. Pancrazio il primo Vescovo di Taormina e della Sicilia.
Subito dopo la tomba della Confraternita, al centro del pavimento c’è una grande stella in marmo verde scuro, forse con riferimento alle parole della lapide “spiritus astra petit”, cioè “Lo spirito sale alle stelle.”
Sul pavimento davanti all’altar maggiore, c’è la seguente iscrizione dedicatoria, contornata da un fregio di marmo verde scuro. “Anno Domini 1847 – hoc decennio opus multaque alia – fecerunt Confrates – cura diligentiaque gubernatoris Pancratii Atenasio Vos posteri unquam desistite”, cioè, nell’anno del Signore 1847 – i Confrati (della Confraternita di S. Pancrazio) fecero quest’opera durata dieci anni e molte altre (nella chiesa) sotto la cura e la diligenza del governatore (della Confraternita) Pancrazio Atenasio voi o posteri non desistite mai (continuate la nostra opera)”. L’opera di cui si parla in questa iscrizione è chiaramente l’altar maggiore, ed il governatore della Congregazione di S. Pancrazio, Pancrazio Atenasio, è la stessa persona che ritroviamo Segretario Comunale nel 1865, quando, essendo Sindaco Pietro Cuscona Deturcis, e Assessori il Dr. Nicolò Ciprioti e Francesco Corvaja, redasse la Delibera con cui il Comune di Taormina decideva la traduzione dal latino e la pubblicazione dei due testi manoscritti ed inediti “Storia ecclesiastica di Taormina” e “Dissertazioni sulla storia civile di Taormina”, città rinomatissima in Sicilia, di Mons. Giovanni Di Giovanni, nato a Taormina nel 1699 e morto a Palermo nel 1753.
Una mensola continua corre tutt’intorno lungo le pareti interne della chiesa sotto il soffitto, e su questa mensola-cornicione sono sistemati a distanza simmetrica 16 vasi di legno scolpito, con funzione decorativa. Un piccolo lampadario in ferro battuto e vetro di Murano scende dal soffitto in corrispondenza della balaustrata in ferro battuto che immette all’altar maggiore, quasi per una corrispondenza fra due elementi della stessa natura.
La Sagrestia, che come abbiamo detto occupa il pianterreno della torre campanaria. è composta di due stanze; nella prima stanza, a cui si accede dal cortile esterno, è custodito il quadro con tela ad olio, col ritratto di Biagio de Spuches, raffigurato stante e vestito con la toga di Presidente del Supremo Tribunale, e decorato con la croce della sua alta carica. Sul retro del quadro, c’è la seguente lunga iscrizione, scritta col pennello: “Ill.mo Sig.re D.D. Biagio de Spuches e Corvaja, dei duchi di S. Stefano de Briga, marchese di Schisò, conte del Giglio, o sia La Molara, barone di Kaggi, dopo esercitate tutte le magistrature, pervenne all’alta presidenza del Supremo Tribunale del Sacro Patrimonio, Pubblica Salute, e del Commercio. Nacque in Taormina, mori in Palermo e fu sepolto nella regia chiesa di S. Domenico, del quale convento era Protettore, ove esiste il suo sarcofago. Benefattore di questa venerabile chiesa del suo Protettore S. Pancrazio, con averle lasciato onze 40 annuali per donazione in Notar Cristofaro Ragusa di Palermo, 24 gennaro 1741, e riconosciuta dal capitolato discusso per la città di Taormina a l’anno 1822”.
Da questa iscrizione veniamo a sapere che Biagio de Spuches portava anche il cognome Corvaja, forse in seguito a rapporti matrimoniali fra le due Casate.
Nella stessa stanza della Sagrestia in cui si conserva il ritratto di Biagio de Spuches e Corvaja, nella parete opposta c’è uno stemma di Taormina, pittura su legno, con la centauressa che tiene in ogni mano una triplice torre; ritorna anche qui la raffigurazione barocca dell’emblema della città, che anziché col centauro, viene rappresentato con la centauressa, forse per un omaggio al gentil sesso, come nel fastigio della Fontana di piazza Duomo.
In questa stanza si conserva anche la vecchia “Vara” del Santo Patrono, che fu sostituita con quella fatta dall’artigiano Nicolò Cozzo nel 1885.
Nella seconda stanza della Sagrestia, che è in corrispondenza dell’altar maggiore e a cui si accede anche dall’interno della chiesa, c’è un’artistica fontana in marmo di Taormina, incassata in una nicchia ad arco, con un putto che sorregge una vaschetta di marmo rosso a forma di conchiglia, e con una maschera fontanaria in forma di stemma una testa di angelo funge da chiave dell’arco che circonda la fontana. Sul pavimento davanti alla fontana c’è una lapide di mano bianco,su cui c’è uno stemma con un gallo che canta, e con la seguente iscrizione epigrafata: “Aspice mortalis stellis – oculare memento vociferat gallus noxia – cuncta fleto – 1749”, cioè “ricordati, grida il gallo, tutta la colpa mortale e col pianto agli occhi volgi lo sguardo alle stelle – 1749”. Si tratta chiaramente di un atto di contrizione permanente ad uso e consumo dei preti e dei chierici che frequentano sempre la Sagrestia a causa del loro ministero sacerdotale.
Al centro di questa seconda stanza c’è una botola in marmo rosa di Taormina. probabilmente la bocca di un antico pozzo per la raccolta dell’acqua piovana.
Gli uomini, infatti, pur cambiando usi, costumi e religione, sogliono mantenere le tradizioni antiche e continuano a fare ciò che i predecessori facevano.
Poiché Giove era il più importante dio nella religione politeistica greco-romana, le rovine del suo tempio furono trasformate nella chiesa di s. Pancrazio, che è il più importante Santo e il Protettore della città.
Possiamo congetturare che la prima chiesa di S. Pancrazio fu costruita sulle rovine del tempio greco al tempo della dominazione bizantina in Sicilia, cioè fra il VI ed il IX secolo, dato che sembra che fino all’occupazione araba di Taormina, avvenuta il 10 agosto del 902, esisteva ancora nella chiesa la tomba del Santo, sulla quale pronunciava le sue omelie il Vescovo Gregorio Cerameo, che visse nel sec. IX, ed ora si conservano a Roma le reliquie del Santo, con la seguente iscrizione: “Die XI Aprilis MDCXXVI, consecratum fuit hoc altare in honorem S. Pancratii Martyris, in quo pariter inclusum est Corpus S. Pancratii Episcopi et Martyris”, si deve pensare che le reliquie del Patrono di Taormina furono portate a Roma prima che i Saraceni s impossessassero della città.
A conclusione di questa storia della chiesa di s. Pancrazio, diciamo che ai due lati dell’altar maggiore, in alto, ci sono due reliquari, ma non si sa di chi siano le reliquie in essi conservate.
S. Pancrazio, il nostro Santo Patrono che venne dalla lontana Antiochia e scelse Taormina come sede per compiere la sua missione di evangelizzazione, e qui confermò la sua fede col martirio, dopo 60 anni di apostolato, essendo stato il primo Vescovo di Sicilia e di Taormina.