- STORIA DELLA
CHIESA DI SAN PANCRAZIO
- La Chiesa di San Pancrazio sorge
sulle rovine del tempio greco di Giove Serapide. Tratti di muri della
cella del tempio sono stati incorporati nella chiesa, si vedono ancora
ben 12 file di blocchi di pietra di Taormina e sovrapposti
senza l’ausilio di calce, mentre nel muro nord si vedono blocchi
superstiti della cella del tempio. Oggi, questi superstiti blocchi di
calcare taorminese, fanno parte integrante dei muri nord e sud della
Chiesa. Il tempio di Giove Serapide, il cui frontone era rivolto ad
oriente, si pensa che fosse un tempio esastilo, cioè con sei colonne
sorreggenti il frontone, le quali formavano un portico antistante la
cella del tempio, in cui era custodito il simulacro della divinità;
questo tipo di tempio è chiamato “in antis” dagli archeologi, che vuol
dire con una parte coperta davanti.
- Nel cortile della chiesa è ancora
oggi visibile uno spezzone di colonna di granito grigio, che venne alla
luce durante i lavori di sistemazione e pavimentazione del cortile
stesso.
- Che questo fosse il tempio di Giove
Serapide è provato da diversi reperti archeologici trovati nell’area del
santuario.
- Uno è il marmo con epigrafe che fu
scoperto nel
1861 dal custode delle
Antichità Francesco Strazzeri, padre del frate Agostiniano Rev. Emilio
Strazzeri.
- Questa epigrafe reca incisa in sei
esametri la seguente dedica in greco:
- “O forestiero, qui presso questo
portico di Serapide dedicò un sacro altare ad Estia (Vesta) il Barceo
(di Barca in Libia) Carneade, figlio di Eucrito, neocòro (ministro del
tempio), sua moglie Pizia e la figlia Eraso, affinché, o tu che reggi le
superbe dimore di Giove (cioè Estia), essi abbiano sempre giocondo
benessere di vita”.
- Un’altra iscrizione latina su marmo,
scoperta nel 1867,
reca la seguente dedica: “Serapi Isi sacrum, C. Ennius Secundus votum
A(nimo) P(io)”, cioè, Caio Ennio Secondo fece un sacro voto a Serapide e
Iside, con animo pio. Altro reperto è la bella statua di Sacerdotessa
di Iside col moggio, scoperta pure nel
1867 e che è andata a finire nel Museo Nazionale di
Palermo e che bisognerebbe far ritornare qui. Altro reperto decisivo fu
un anello d’oro trovato nel 1742, del peso di un’oncia e mezza, recante un
iscrizione in greco che tradotta in latino significa: “Ietro Ilios
Sacerdos Solis, che dovrebbe significare “Ietro Ilio Sacerdote del
Sole”, per cui è chiaro che era l’anello del Sacerdote del tempio i
Giove Serapide, il quale soprintendeva ai riti religiosi che vi si
celebravano. Questo anello d’oro andò a finire nella collezione privata
di Biagio Spuches, duca di S. Stefano, custodita nel suo palazzo
Paladini-Platamone, poi divenuto l’Hotel Metropol e nessuno l’ha più
visto.
- In cambio del possesso di questo
importante anello d’oro del tempio di Giove Serapide, egli fece un
lascito alla chiesa di S. Pancrazio di
40 onze annuali. L’architettura della chiesa di S.
Pancrazio è di stile barocco ed essa risale alla seconda metà del 1600, quando la preesistente più piccola fabbrica fu
ristrutturata e la chiesa ingrandita, sia in altezza che in lunghezza.
- Infatti, sulla facciata sud che
incorpora il muro della cella del tempio greco, sono ancora visibili le
primitive finestre che sono state murate, lasciando in loco davanzali,
stipiti e architravi.
-
La facciata principale della chiesa
è
rivolta ad est e mostra un monumentale portale, a cui si accede
attraverso una breve gradinata composta di quattro ordini di gradini in
pietra di Taormina.
- Il portale ha stipiti ed architrave
in pietra di Taormina ed è ornato da due colonne dì stile jonico per
ogni lato, le quali poggiano su alte basi ed i cui capitelli sostengono
un pesante architrave, fatto di sporgenze e rientranze.
- Fra le due colonne di destra c’è la
statua S. Procopio, rappresentato con l’abito talare e con la mitria in
testa, e con il suo cuore nella mano destra alzata, a significare il
tipo di martirio che egli subì.
- Infatti, S. Procopio era il Vescovo
di Taormina al tempo della conquista araba di Taormina, che cadde sotto
i Saraceni il
-
1 agosto 902, ed il santo Prèsule fu martirizzato mediante
l’estirpazione del cuore.
- Fra le due colonne di sinistra c’è la
statua di un altro
Santo Vescovo, presumibilmente S. Massimo, che fu il
successore di S. Pancrazio, mentre io penso per logica, che sia la
statua di S. Pancrazio, essendo la chiesa a lui intitolata; pure S.
Pancrazio è rappresentato con l’abito talare e le insegne della sua
dignità vescovile cioè i e bastone pastorale nella mano sinistra,
mentre la destra è atteggiata ad un gesto di protezione.
- Questo portale barocco è fatto in
ogni sua parte con i rinomati marmi di Taormina, policromi e screziati.
- Nei due lati della facciata ci sono
due finte colonne poggianti su alte basi, i cui capitelli sostengono un
architrave a più rifasci, sopra il quale la facciata termina imitando il
frontone del tempio greco, con al centro una decorazione ovale in forma
di corona o ghirlanda.
- Al colmo della facciata c’è una croce
in ferro battuto decorata con raggi all’incrocio dei due bracci.
- La chiesa è preceduta da un ampio
cortile o mattonellato con mattoni d’argilla rossa, e recintato da dieci
arcate a tutto sesto in muratura, e alla base di ogni arcata, fra
pilastro e pilastro, ci sono dei grandi blocchi di pietra di Taormina,
che fungono da rustici sedili e che certamente facevano parte
dell’antico tempio, come è pure pensabile che anche il tempio greco
fosse preceduto da questa spianata antistante, che serviva come luogo di
raccolta dei pellegrini, in attesa di entrare nel tempio per assistere
alle sacre cerimonie.
- Questa destinazione del cortile è
durata fino ai nostri giorni; infatti, al centro della spianata c’è una
- botola in pietra di Taormina, in cui
veniva fissato un palo di legno che sosteneva una grande tenda che
serviva da ricovero per i fedeli di S. Pancrazio che venivano in
pellegrinaggio dalla Calabria fino al
1 940, dopo di che questa tradizione scomparve, in
seguito agli eventi bellici della seconda Guerra Mondiale.
- La facciata sud, che ha incorporato e
conservato fino a noi il muro della cella del tempio di Giove Serapide
mostra tre comuni finestre che furono aperte nella facciata sopraelevata
alla fine del sec. XVII.
- A sinistra della facciata principale
si apre l’ingresso alla Sagrestia preceduta da un piccolo cortile
adiacente alla facciata nord in cui sono visibili altri blocchi
squadrati di calcare taorminese dell’alto muro della cella dell’antico
tempio. Sopra la sagrestia e in posizione arretrata rispetto alla
facciata principale della chiesa s’innalza il campanile, il cui
pianterreno costituisce la Sagrestia; la sua parte mediana è costruita
con blocchi squadrati di pietra di Taormina, con un oblò aperto in
ognuna delle quattro facciate.
- La parte superiore del campanile è
decorata da quattro archi a tutto sesto, uno per ogni lato con stipiti,
archi e chiavi d’arco in pietra di Taormina, che costituiscono le
aperture a cielo aperto della camera campanaria, in cui sono allogiate
le campane.
- Infine, sopra un ricco architrave
quadrato, s’innalza una cupola decorata anch’essa da quattro piccole
aperture ad arco, una per lato, e sopra di essa, che è esagona1e, c’é una cupoletta, pure esagonale e con quattro
piccole aperture ad arco, sormontata da una sfera di pietra, in cui è
infissa una piccola bandiera in ferro battuto girevole,. con funzione
decorativa e di segnavento, cioè che gira su se stessa, in senso orario
o antiorario, a secondo del vento.
- Ai quattro angoli della base della
cupola c’é un motivo a doppia voluta, come una essa coricata, che è
ripetuto in cima ai pilastri del cancello in ferro battuto che immette
nel cortile antistante la chiesa.
- Anche nella torre campanaria siamo in
pieno stile barocco, pur con la sobrietà delle reminiscenze dell’arte
classica.
- Entrando in chiesa, sopra il portale
c’è il soppalco con l’organo, dove prendeva posto il coro durante i
solenni pontificali con messa cantata, ed esso è recintato da una
ringhiera in ferro battuto.
- S. Nicone era un sacerdote
napoletano, che coi suoi 99
monaci era venuto a stabilirsi presso il fiume Akesines (Alcantara) ed
ora poi diventato Vescovo di Taormina.
- Sul secondo altare minore a destra
entrando, c’è il quadro con tela ad olio che rappresenta S. Pietro che
consacra Vescovo S. Massimo, successore di S. Pancrazio nella Diocesi di
Taormina.
- Sul primo altare minore a sinistra
entrando, c’è il quadro con tela ad olio, che rappresenta
il martirio di
S. Procopio, la cui statua è posta all’esterno, a destra del portale, il
quale era il Vescovo dì Taormina al momento della conquista della città
da parte dei Saraceni, il cui capo lbrahim-ibn-Ahmed lo fece suppliziare
mediante l’estirpazione del cuore, perché non aveva voluto abiurare la
sua fede cristiana e convertirsi all’islamismo; assieme a lui furono
suppliziati mediante decapitazione i suoi chierici.
- Sul secondo altare minore a sinistra
entrando, c’è un
grande Crocifisso di cartapesta o cartone romano. Fra
il primo ed il secondo altare minore a destra entrando, c’è un affresco
raffigurante il Vescovo Teofane Cerameo mentre pronunzia una sua
omelia, di cui sono riprodotti alcuni passi; Teofane Cerameo fu l’ultimo
Vescovo di Taormina nel sec. XI, quando la sede vescovile fu abolita dai
Normanni.
- In cima alla grande arcata a tutto
sesto che precede ed incornicia l’altare maggiore c’è la seguente
iscrizione: “Ego primus et absque me non est Deus” cioè “Io sono il
primo e sono l’ultimo, e fuori di me non v’è Dio” (Isaia,
44,
6).
- Una bassa ringhiera in ferro battuto
immette all’altare maggiore, ricco di marmi policromi di Taormina, con
ai lati due colonne di stile jonico, uguali alle quattro che adornano il
portale esterno. In cima all’altare ci sono Otto angeli, quattro per
lato, e al centro c’è il busto di Dio benedicente con la destra e che
s’erge tra le nuvole, sotto la figura di Dio c’è la Madonna col Bambino.
- A destra dell’altare maggiore c’è
l’affresco che rappresenta
il martirio di S. Pancrazio per mano del
gentile (pagano) Arcagano, durante un convito a cui il Santo era stato
invitato, essendo assente dalla città il Prefetto Bonifacio, che S.
Pancrazio aveva convertito al Cristianesimo.
- A sinistra dell’altare maggiore c’è
l’affresco raffigurante
lo sbarco di S. Pancrazio a Naxos, mentre i
templi pagani crollano, nell’anno 40
d.C., sotto l’impero di Caligola (3741
d.C.), mentre il suo martirio avvenne nell’anno 100, sotto l’impero di Traiano (98-117 d.C.).
- S. Pancrazio, discepolo di S. Pietro,
fu “Primus Siciliensium Episcopus” cioè fu il primo Vescovo dei
Siciliani, come dicono le agiografie greche.
- A destra dell’altar maggiore c’è la
sedia pontificale, in forma di poltrona dorata di velluto rosso, stile
Luigi XIV;. dietro la sedia c’è lo stendardo della Congregazione di S.
Pancrazio, decorato con filigrana d’argento e realizzato nel 1870, in cui è riprodotto lo stemma della Confraternita
con la mitria ed il bastone pastorale, le insegne vescovili di S.
Pancrazio.
- Sopra e dietro l’altar maggiore c’è
la grande nicchia in cui è alloggiata la statua di S. Pancrazio
Antiocheno, seduto sulla sua “vara”, cioè il fercolo o portantina, con
cui viene solennemente portato in processione durante i festeggiamenti
in suo onore il 9 luglio.
- La statua di S. Pancrazio è di
cartapesta o cartone romano, ed è decorata con oro zeechino; il Santo,
scuro in viso come i Siriaci o Siriani, è rappresentato seduto, con la
destra benedicente e con la sinistra che tiene il bastone pastorale.
- La sua “Vara” e rettangolare, con sei
colonnine che sostengono sei archi, due per ogni lato lungo e uno per
ogni lato corto. La Vara, fatta con legno di arbanello e cipresso nel 1 885 costò L. 765 senza l’oro zecchino e ne fu costruttore il
falegname Nicolò Cozzo; infatti, sulla base frontale della “Vara” c’è
scritta, scolpita nel legno, la seguente dedica: “Costruita di(sic!)
Nicolò Cozzo -
1885”. Questa “Vara”fu fatta
su imitazione di una precedente.
- Sotto la sedia di S. Pancrazio, nella
faccia interna di un poggiulo posteriore, c’è la seguente iscrizione a
pittura: “Vetusta signabat ann. 1519,
haec de ano confecta signat ann. 1887”; cioè, “la vecchia Vara recava la data anno
1519, questa fatta
quest’anno reca la data anno 1887”. Sulla base posteriore della “Vara” c’è incisa
questa dedica: “Il popolo al suo Patrono - 1885” La grande nicchia in cui è custodita la statua
del Patrono di Taormina e la sua “Vara”. era una volta tutta affrescata
con motivi floreali che furono distrutti quando la chiesa fu
ristrutturata; qualche frammento di affresco è ancora visibile sui
bordi della nicchia.
- Il pavimento della chiesa è ricco dei
marmi policromi di Taormina che creano una bella scenografia se
guardato dall’alto, come dal soppalco dell’organo a canne.
- Subito dopo il portale entrando, c’è
sul pavimento una grande lapide molto decorata con intarsi dei
variopinti marmi di Taormina che formano ricchi motivi floreali, fra
cui spicca per la sua lugubrità un teschio alato, come un pipistrello,
di marmo rosa, e sulla lapide c’è la seguente iscrizione: Lustris
Christi templum - antistes consecratocto - hic corpus linquens spirtus -
astra petit - secula post plura urnam hanc - construxere sodales - ut
cineres tumulent - dent animasq 3 - Deo - Patre D.re D. Mario Campagna - anno
MDCLXXXXVII”, cioè, “il sommo sacerdote di Cristo ha consacrato il
tempio con sacrifici purificatori - lo spirito abbandonato questo corpo
sale in cielo - dopo molti secoli i Confrati (della Confraternita di S.
Pancrazio) costruirono questa tomba per seppellirvi le ceneri (i
cadaveri dei Confrati) - e dedicarono le anime a Dio - essendo Padre
Direttore don Mario Campagna nell’anno
1697”.
- Sul pavimento, poco prima della
balaustrata in ferro battuto che immette all’altare maggiore, c’è una
lapide molto decorata con intarsi di marmi policromi, avente al centro
uno stemma con due stelle divise da una banda dentellata e con un
fiordaliso in basso, e con quattro teschi agli angoli, su cui c’è la
seguente iscrizione: “Pregate per me povero peccatore mori l’anno
1696 a XIX Luglio”. Si tratta chiaramente della tomba
di un nobile, che potrebbe essere identificato dallo stemma del suo
Casato riprodotto sulla lapide tombale.
- Sulla lapide della tomba comune della
Confraternita di S. Pancrazio c’è anche lo stemma di questa
Congregazione, rappresentante una mitria e un bastone pastorale, cioè le
insegne della dignità vescovile, essendo stato S. Pancrazio il primo
Vescovo di Taormina e della Sicilia.
- Subito dopo la tomba della
Confraternita, al centro del pavimento c’è una grande stella in marmo
verde scuro, forse con riferimento alle parole della lapide “spiritus
astra petit”, cioè “Lo spirito sale alle stelle.”
- Sul pavimento davanti all’altar
maggiore, c’è la seguente iscrizione dedicatoria, contornata da un
fregio di marmo verde scuro. “Anno Domini
1847 - hoc decennio opus multaque alia - fecerunt
Confrates - cura diligentiaque gubernatoris Pancratii Atenasio Vos
posteri unquam desistite”, cioè, nell’anno del Signore
1847 - i Confrati (della Confraternita di S. Pancrazio)
fecero quest’opera durata dieci anni e molte altre (nella chiesa) sotto
la cura e la diligenza del governatore (della Confraternita) Pancrazio
Atenasio voi o posteri non desistite mai (continuate la nostra opera)”.
L’opera di cui si parla in questa iscrizione è chiaramente l’altar
maggiore, ed il governatore della Congregazione di S. Pancrazio,
Pancrazio Atenasio, è la stessa persona che ritroviamo Segretario
Comunale nel 1865,
quando, essendo Sindaco Pietro Cuscona Deturcis, e Assessori il Dr.
Nicolò Ciprioti e Francesco Corvaja, redasse la Delibera con cui il
Comune di Taormina decideva la traduzione dal latino e la pubblicazione
dei due testi manoscritti ed inediti “Storia ecclesiastica di Taormina”
e “Dissertazioni sulla storia civile di Taormina”, città rinomatissima
in Sicilia, di Mons. Giovanni Di Giovanni, nato a Taormina nel
1699 e morto a Palermo nel
1753.
- Una mensola continua corre tutt’intorno
lungo le pareti interne della chiesa sotto il soffitto, e su questa
mensola-cornicione sono sistemati a distanza simmetrica 16 vasi di legno scolpito, con funzione decorativa. Un
piccolo lampadario in ferro battuto e vetro di Murano scende dal
soffitto in corrispondenza della balaustrata in ferro battuto che
immette all’altar maggiore, quasi per una corrispondenza fra due
elementi della stessa natura.
- La Sagrestia, che come abbiamo detto
occupa il pianterreno della torre campanaria. è composta di due stanze;
nella prima stanza, a cui si accede dal cortile esterno, è custodito il
quadro con tela ad olio, col ritratto di Biagio de Spuches, raffigurato
stante e vestito con la toga di Presidente del Supremo Tribunale, e
decorato con la croce della sua alta carica. Sul retro del quadro, c’è
la seguente lunga iscrizione, scritta col pennello: “Ill.mo Sig.re D.D.
Biagio de Spuches e Corvaja, dei duchi di S. Stefano de Briga, marchese
di Schisò, conte del Giglio, o sia La Molara, barone di Kaggi, dopo
esercitate tutte le magistrature, pervenne all’alta presidenza del
Supremo Tribunale del Sacro Patrimonio, Pubblica Salute, e del
Commercio. Nacque in Taormina, mori in Palermo e fu sepolto nella regia
chiesa di S. Domenico, del quale convento era Protettore, ove esiste il
suo sarcofago. Benefattore di questa venerabile chiesa del suo
Protettore S. Pancrazio, con averle lasciato onze
40
annuali per donazione in Notar Cristofaro Ragusa di Palermo, 24 gennaro 1741, e riconosciuta dal capitolato discusso per la
città di Taormina a l’anno 1822”.
- Da questa iscrizione veniamo a sapere
che Biagio de Spuches portava anche il cognome Corvaja, forse in seguito
a rapporti matrimoniali fra le due Casate.
- Nella stessa stanza della Sagrestia
in cui si conserva il ritratto di Biagio de Spuches e Corvaja, nella
parete opposta c’è uno stemma di Taormina, pittura su legno, con la
centauressa che tiene in ogni mano una triplice torre; ritorna anche qui
la raffigurazione barocca dell’emblema della città, che anziché col
centauro, viene rappresentato con la centauressa, forse per un omaggio
al gentil sesso, come nel fastigio della Fontana di piazza Duomo.
- In questa stanza si conserva anche la
vecchia “Vara” del Santo Patrono, che fu sostituita con quella fatta
dall’artigiano Nicolò Cozzo nel 1885.
- Nella seconda stanza della Sagrestia,
che è in corrispondenza dell’altar maggiore e a cui si accede anche
dall’interno della chiesa, c’è un’artistica fontana in marmo di
Taormina, incassata in una nicchia ad arco, con un putto che sorregge
una vaschetta di marmo rosso a forma di conchiglia, e con una maschera
fontanaria in forma di stemma una testa di angelo funge da chiave
dell’arco che circonda la fontana. Sul pavimento davanti alla fontana
c’è una lapide di mano bianco,su cui c’è uno stemma con un gallo che
canta, e con la seguente iscrizione epigrafata: “Aspice mortalis stellis
- oculare memento vociferat gallus noxia - cuncta fleto - 1749”, cioè “ricordati, grida il gallo,
tutta la colpa mortale e col pianto agli occhi volgi lo sguardo alle
stelle -
1749”. Si tratta chiaramente
di un atto di contrizione permanente ad uso e consumo dei preti e dei
chierici che frequentano sempre la Sagrestia a causa del loro ministero
sacerdotale.
- Al centro di questa seconda stanza
c’è una botola in marmo rosa di Taormina. probabilmente la bocca di un
antico pozzo per la raccolta dell’acqua piovana.
- Gli uomini, infatti, pur cambiando
usi, costumi e religione, sogliono mantenere le tradizioni antiche e
continuano a fare ciò che i predecessori facevano.
- Poiché Giove era il più importante
dio nella religione politeistica greco-romana, le rovine del suo tempio
furono trasformate nella chiesa di s. Pancrazio, che è il più importante
Santo e il Protettore della città.
- Possiamo congetturare che la prima
chiesa di S. Pancrazio fu costruita sulle rovine del tempio greco al
tempo della dominazione bizantina in Sicilia, cioè fra il VI ed il IX
secolo, dato che sembra che fino all’occupazione araba di Taormina,
avvenuta il 10 agosto del 902, esisteva ancora nella chiesa la tomba del Santo,
sulla quale pronunciava le sue omelie il Vescovo Gregorio Cerameo, che
visse nel sec. IX, ed ora si conservano a Roma le reliquie del Santo,
con la seguente iscrizione: “Die XI Aprilis MDCXXVI, consecratum fuit
hoc altare in honorem S. Pancratii Martyris, in quo pariter inclusum est
Corpus S. Pancratii Episcopi et Martyris”, si deve pensare che le
reliquie del Patrono di Taormina furono portate a Roma prima che i
Saraceni s impossessassero della città.
- A conclusione di questa storia della
chiesa di s. Pancrazio, diciamo che ai due lati dell’altar maggiore, in
alto, ci sono due reliquari, ma non si sa di chi siano le reliquie in
essi conservate.
-
S. Pancrazio, il nostro Santo
Patrono che venne dalla lontana Antiochia e scelse Taormina come sede
per compiere la sua missione di evangelizzazione, e qui confermò la sua
fede col martirio, dopo
60 anni di apostolato, essendo
stato il primo Vescovo di Sicilia e di Taormina.